Le rime di Francesco di Vannozzo sono tradite da almeno 34 testimoni. Il codice fondamentale è comunque Pd BS 59 [P], cartaceo e privo di decorazioni, copiato presumibilmente ad uso personale, databile verso la fine del XIV secolo, con aggiunte del principio del XV.
Ne fu possessore l'abate Jacopo Facciolati, che lo lasciò in eredità alla Biblioteca del Seminario di Padova. Nel '400 doveva però appartenere alla famiglia Contarini (Manetti 1994 p. 30), un membro della quale, Nicolò, era amico del Vannozzo. Proprio lui potrebbe essere stato committente del manoscritto, che infatti cronologicamente si situa in epoca vicina a quella in cui visse il poeta padovano.
La natura degli errori del codice esclude l'autografia, anche se alcuni indizi fanno pensare che esso sia stato composto in epoca non lontana da quella del sonetto più tardo (1387). «La confezione del manoscritto può situarsi a Padova all'inizio degli anni '90 o comunque in periodo di Signoria carrarese (Francesco Novello prese il potere il 16 agosto 1390 e lo perse, soccombendo a Venezia, nel 1404)» (Manetti 1994, pp. 29-30). Non si può però neppure scartare l'ipotesi che il codice sia stato composto a Venezia: a c. III r. compare infatti una nota («una prova di penna più che una vera e propria nota di possesso» Manetti 1999, p. 569) che dice «... 1482 , aj 22 avosto in cancelleria. Domino Nicolao Contareno quondam Magnifici domini Antonij domino suo singularissimo».
Allo stato attuale non è invece possibile sapere chi sia stato il copista del codice, né se egli abbia attinto da fascicoli sparsi o da un unico esemplare di dedica. Deporrebbe a favore di questa seconda ipotesi il fatto che Pd BS 59 si apre e si chiude con una canzone (Pascolando mia mente al dolce prato Medin 1928, n. I) e una corona di sonetti (Medin 1928, n. CLXXXIX 1-8) in onore di Giangaleazzo Visconti, «il conte di virtù». All'interno del codice non compaiono però altri componimenti in lode del Visconti o di personaggi appartenenti alla sua corte, mentre non mancano sonetti che mostrano il legame che c'era tra Vannozzo e la corte dei Carraresi.
Manetti 1994 (pp. 31-32) suppone pertanto che in onore di Giangaleazzo fosse stato allestito un solo fascicoletto contenente almeno la canzone e la corona di sonetti, o che canzone e sonetti fossero destinati ad incorniciare qualcosa d'altro andato perduto.
Pd BS 59 contiene quasi esclusivamente componimenti del Vannozzo e dei suoi corrispondenti (Antonio del Gaio, Bartolomeo di Castel della Pieve, Giovanni Dondi, Gasparo Lanzarotto, Gidino da Sommacampagna, Marsilio da Carrara, Nicolò del Bene, Pietro Montanari, Pietro della Rocca, Belletto Gradenigo, Conte di Caserta e due anonimi), con l'eccezione di quattro sonetti aggiunti nel '500.
Per quanto riguarda il Vannozzo, Pd BS 59 non costituisce certamente «un canzoniere organico» (Manetti 1999, p. 569), né sembra seguire un ordinamento preciso nella disposizione dei testi: al di là di un primo raggruppamento metrico, valido esclusivamente per i primi venti componimenti (tre canzoni e un insieme di sonetti a rime artificiose), e di qualche piccolo blocco unificato dal tema (come i sonetti del liuto e dell'arpa: i numeri XXIV-XXV dell'edizione Medin 1928 [=XXIII-XXIV Manetti 1994], i numeri XXXV-XXXVII dell'edizione Medin 1928 [=XXIX-XXXI Manetti 1994]) o da un leit motiv che ritorna (come la metafora della calandra che compare nei sonetti XLVII-XLVIII Medin 1928[=XLI-XLII Manetti 1994] e LXIV-LXV Medin 1928 [=LII-LIIA Manetti 1994]), i componimenti si susseguono abbastanza casualmente. Più che costituire una silloge unitaria, il codice «potrebbe derivare da piccoli sottoinsiemi che la mano del compilatore ha, un po' caoticamente, riunito e magari riversato» in una «cornice ideata, ma non riempita, da Francesco di Vannozzo in persona per ingraziarsi il Conte di Virtù» (Manetti 1994, p. 33).
I componimenti attestati anche in altri mss. sono:
- la canzone Correndo del signor mille Trecento (Medin 1928, n. III) (ma con incipit Correndo del signor mille quatrocento), e i sonetti Di quei vagi pensier' ch'Amor ti spira (Medin 1928, n. LXXIV), Molto m'agrada il ben che ti cospira (Medin 1928, n. LXXV), Io mi credia questo foco alentare (Medin 1928, n. CXXII), Io veggio ben che i cieli ora me sfida (Medin 1928, n. CXXXXVII), O cor di doglia pieno e de martiri (Medin 1928, n. CXXXXVIII), Venuto è il dì che 'l vano amor sotterro (Medin 1928, n. CXI), tràditi dal codice Fi BML Ash. 1378 [Ash], allestito in ambiente incerto tra Ferrara (Quaglio 1983, pp. 361-62) e Bologna (Bentivogli 1984, p. 180) negli anni compresi tra il 1445 e il 1458.
Fi BML Ash. 1378 raccoglie anche altri sonetti che traggono spunto dai componimenti vannozziani, e che sono stati collocati da Levi 1908 tra le rime dubbie, ma poi esclusi da Medin 1928. Si tratta dei sonetti Piangendo io penso nel mio cor dolente, Novo ucellecto al mio fresco giardino, O creata da Dio nell'alto regno, De peregrina dea non me sbandire, attribuibili forse ad un estimatore ed imitatore del poeta padovano, che doveva conoscere una raccolta di rime più ricca di quella confluita in Fi BML Ash. 1378.
- il sonetto contro Ferrara Non è virtù dov'è la fede rara (Medin 1928, n. LXXX), il più popolare del Vannozzo, composto secondo Levi 1908, pp. 127-28 in occasione di un viaggio alla corte estense assieme a Francesco Novello attorno al giugno 1376. Il sonetto è tràdito da sedici manoscritti divisi in due famiglie: la prima composta da Pd BS 59 e Mo BE alfa.U.7.24 [Mo1], la seconda da Ve BNM Lat. XIV 223 [Mc2] e da un codice scomparso, da cui però derivano Bo BU 2845 [Bu], Fi BNC Magl.VII 1030 [Mgl], Mi BB A.D.XVI.20 [Br], e, successivamente Fe BC Antonelli 393 [Fe], CV BAV Urb. lat. 684 [Urb], Fi BR 1640 [R], e Fe BC Antonelli 521 [Fe1], Mo BE Deposito del Collegio di San Carlo 5 [Mo], Udine BC 10 [Ot].
Il codex optimus rimane comunque Pd BS 59. Non sono ancora stati inseriti nell'albero di Manetti 1994 Mi BA N 95 sup. [Ambr1] e Mi BA O 119 sup. [Ambr2].
- la frottola Se Die m'aide, a le vagniele, compar! (Medin 1928, n. LXXVIII, Manetti 1994, n. LX), tràdita da Pd BS 59 e dal ms. Ve MC Cicogna 2949-V no 10 [Cg], trascritto nel 1855 da Tommaso Gar a partire da un manoscritto appartenente allo stesso Gar ora perduto, apparentati tra loro, e dal ms. Fi BML Conv. soppr. 122 [Cs], collocabile in altro ramo della tradizione. Il testo critico di Manetti 1994 è basato su Pd BS 59 ma integra alcuni versi che Fi BML Conv. soppr. 122 ha in più e che sono, probabilmente, autentici.
- la frottola Ciascun soffista (Medin 1928, n. CLXXV, Manetti 1994, n. CXLV) tràdita da Pd BS 59 e da alcuni mss. appartenenti ad un secondo ramo della tradizione: Mi BB A.D.XVI.20 [Br], lacunoso, Fi BR 1640 [R], Mi BT 964 [T], CV BAV Rossi 729 [Rs] e Ve BNM It. X 102 [Mc], che deriva da Mi BT 964 con alcune varianti di CV BAV Rossi 729. Tali mss. permettono di correggere alcuni errori del ms. padovano. (Manetti 1994, pp. 356-57)
- la frottola Dè, buona zente, poneteli mente (Medin 1928, n. CLXXVIII, Manetti 1994, n. CXLVIII) tràdita da Pd BS 59 e da altri codici appartenenti alla famiglia alfa (Manetti 1994 p. 374). Mi BB A.D.XVI.20 [Br], codice trascritto dal milanese Bartolomeo Sacchella verso la metà del '400; CV BAV Barb. lat. 3936 [Barb], Fi BM C 152 [Ma] e i due codici Mi BA C 35 sup. [Ambr] e Fi BML Acquisti e doni 759 [Gv] copiati dai due fratelli fiorentini Filippo e Antonio Scarlatti apparentati da errori e varianti, ma non dipendenti l'uno dall'altro. Pd BS 59 è comunque assunto dalla Manetti 1994, pp. 366-74 come «bon manuscrit».
Vi sono poi alcuni sonetti estranei al corpus padovano, attribuiti al Vannozzo dai copisti del manoscritto Fe BC Antonelli 393 [Fe] (Andaimi a cena con el compar mio, Non so tenir il riso da ch'io vidi, Io sum de l'aspettar omai sì vinto, Andando per vedere un muxo bello) e da Ve BNM it. XI 66 (Se lo amaro Amore mira ch'io mora), o da studiosi moderni. Biadego 1902-1903 e Levi 1908 attribuiscono al Vannozzo La figlia di Tiresia non si stancha e Dov'è il gran senno, l'ardire e 'l valore; mentre Liuzzi 1937 gli dà altri sonetti tràditi dal codice CV BAV Rossiano 215, che poi però Li Gotti 1942-44 definisce solo 'vicini' a quelli vanozziani.
Dal momento che tali attribuzioni appaiono prive di fondamento, i sonetti non vengono accettati né da Medin 1928 né da Manetti 1994 neppure tra le rime dubbie.
Il nome del Vannozzo era noto solo grazie alla menzione che ne avevano fatto Maffei 1732, parte II, lib. II, col. 62 e Degli Agostini 1754, lib. I, p. 290 quando, nel 1825, l'abate Andrea COI - direttore della Biblioteca del Seminario di Padova - e Nicolò Tommaseo pubblicarono alcune delle sue rime, traendole dal codice Pd BS 59.
Altre rime furono edite da Agostino Sagredo 1862 e da Grion 1869. Fin dal 1882 però Salomone Morpurgo si propose una pubblicazione integrale del codice, e ne allestì la trascrizione, che poi affidò alle mani di Antonio Medin e di Ezio Levi. Mentre Levi 1908 ne trasse un'importante studio monografico sul Vannozzo, esteso alla lirica delle corti lombarde durante la seconda metà del XIV secolo, Medin 1928 pubblicò per intero le rime vannozziane, accompagnandole con un commento.
L'edizione Medin 1928, pur essendo ottima per l'epoca in cui fu composta, rivela però alcune pecche (apparato incompleto, note storico-linguistiche insufficienti, glossario scarno), alle quali si propone di rimediare Roberta Manetti con una nuova edizione, allestita per la tesi di dottorato nel 1994, di prossima pubblicazione.
Importanti antologie di rime vannozziane sono anche in Sapegno 1952, Sapegno 1967 e in Corsi 1969.
Rimatori del tardo Trecento, vol. I, testo e note a cura di Natalino Sapegno, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1967
Scipione Maffei, Verona illustrata, parte II, contiene L'Istoria letteraria o sia la notizia de' scrittori veronesi, in Verona, Per Iacopo Vallarsi e Pierantonio Berno, 1732